domenica 1 marzo 2015

la stirpe di Ram








“Appena i vascelli si mossero e giunsero nel mezzo dei cieli, il Messaggero rivelò le sue forme, la maschile e la femminile, e fu visibile a tutti gli Arconti, i figli della Tenebra, maschi e femmine. Alla vista del Messaggero, che era di bella forma, tutti gli Arconti furono eccitati di concupiscenza per lui, quelli maschili per la sua forma femminile e quelli femminili per la sua apparenza maschile. E nella loro concupiscenza cominciarono a liberare la Luce dei cinque Dei Luminosi che essi avevano divorato”
(Teodoro bar Konai – commentatore biblico VIII-IX sec.)









Pressappoco coincidente con l’inizio della condizione maggiormente critica dei tempi (Kali-yuga) prende avvio il calendario ebraico.

In quest’epoca (circa 3700-3100 a. C.) si ha la rottura del grande ciclo di Rama.

L’avvio del Kali-yuga segnerebbe la linea di demarcazione che separa dal traguardo finale i deliri e le aspirazioni di tutte le Civiltà e assieme, agli albori cupi che preannunciarono l’Età Nera, l’ultima significativa rottura semi-mitica occorsa all’unità ancestrale che saldava l'anima alla forza spirituale, qualità presumibilmente emblematizzata dalla stirpe di Ram – Ramidi – ciclo di Rama; capostipite, conquistatore e iniziatore dell’India, proveniente dal centro europa (Urali/Caucaso) da cui si diramano solo successivamente le distinzioni razziali bibliche ricordate nei caratteri ereditati dai figli di Noé: i “Camiti”, i “Semiti”, “Ariani”.       

La figura di Ab-ram, secondo la tesi Saint-Yves, così come di Fabre d’Olivet, riassumerebbe un intera stirpe (gli Ab-ramidi) scampata alla repentina dissoluzione del ciclo iniziatico di Ram, che in tempi remoti delineò i caratteri venerabili della Tradizione definita appunto come Primordiale, e che rivela la sostanziale unità sacrale d’ogni posteriore civiltà antica. 

Ciò che preme sottolineare è la Rad. RAM, che intende ogni idea di “elevazione” - significando propriamente l’alto e il sublime - presente in Egitto attraverso i nomi delle dinastie dei Ram-es, così come in età più tarda nella famiglia-tribù dei Ram-nenses, i tirreni che contribuirono alla fondazione di Roma: ultima città fondata dai superstiti della stirpe dei Ramidi. Notare come il nome dell'Urbe conservi la medesima rad. RAM – RM, presente tra l'altro nella divinità mediterranea Nemesi- Ramnusia, la quale secondo Esiodo è figlia dell’Oceano e della Notte, pertanto, di ciò che rimane segreto, nascosto. La Dea allegorizza la generazione occulta della Provvidenza, avvinta, secondo Macrobio, al predicato splendente figurato dal sole.

Nemesi Ramnusia custodendo il senso dei più antichi misteri, rappresenta il senso della misura etica che presto o tardi arriva a rettificare ogni prevaricazione.    



“…Vieni, beata, santa, agli iniziati sempre soccorritrice:

concedi di avere una buona capacità di riflettere…”

(Inno orfico a Nemesi – frammento)



Dovremmo individuare nella discendenza ancestrale della stirpe di Ram non tanto una distinzione meramente razziale, ma una specifica qualità occulta propria dell’identità animica che ci distingue in quanto umani e connessa alla percezione stessa di Coscienza-Conoscenza, caratterizzata dalla medesima percezione di Chiarità-Levità interiore, connesse alla forza di Liberazione-Redenzione dall’inganno atavico che ci vede imprigionati nella struttura dell’attuale sotto-dimensione.

Potremmo intuire in alcuni toponimi la sedimentazione spirituale di drammatici eventi che segnano le vicissitudini dell’uomo “tuffato” nella corrente del divenire e perciò, ad esempio, nel nome stesso di una regione come l’Armenia, si potrebbe individuare uno dei punti di confluenza e diramazione dell’umanità post-diluviana o post-atlantidea. Luogo biblico di approdo della metaforica Arca di salvezza, affatto identificata come un mezzo di navigazione solo materiale, ma, emblema di un principio trascendente come riporta un passo dell’apocrifo di Giovanni, che asserisce: “…non fu come disse Mosé : essi si nascosero in un arca; essi si nascosero in un luogo, non soltanto Noè ma anche molti altri uomini della generazione non vacillante. Essi si recarono in un luogo, si nascosero in una nube luminosa”. Qui l’autore non parla di acqua ma di oscurità, presentando il diluvio come drammatico contrasto fra le tenebre e la luce  con cui l’Arconte (Jaldabaoth) aveva avvolto la terra.  

Le genti di Aram custodirono il senso dell’ineffabile congiunto alla dimensione della sopravvivenza ordinaria.

Nella genealogia di Gesù secondo Matteo, tutto prende avvio con la discendenza di Abramo e dunque degli Ab-ramidi, ma è anche ricordato un Aram più recente che mutua il nome dall’antico. Così nella genealogia secondo Luca è posto in evidenza un altro simbolico fratello del primo Aram, ossia Arphaxad, così riportato nella versione greca neotestamentaria. Il nome ebraico antico-testamentario è Arpha-cheshad (rad. aòr - phe e shad) che s’interpreta nel significato di “luce che guarisce con potenza provvidenziale”; alludendo con questo al sigillo luminoso (segno di Luce) che opera internamente alla nostra potenzialità sopita e che Cristo, quale profeta dei tempi detti come ultimi, ha perfettamente ridestato in sé tracciando il tragico e splendente percorso di riscatto dall’ottenebramento subito dalla coscienza.  

La lotta leggendaria adombrata nel Ramayana, e accaduta al termine dell’età precedente alla nostra, (prima del Kali-yuga) quando gli effetti della degenerazione cominciarono a rendersi manifesti e venne meno alla saggezza umana quell’unico principio spirituale da cui tutto dipende, originando da questo turbamento metafisico volto a sovvertire l’unità del ciclo di Rama il primo significativo attacco delle forze buie alla lucentezza.  


Fabre d'Olivet, - scrive Artaud - nella "Histoire philosophique du genre humain", parla lungamente di una primitiva separazione d'essenze che bisogna intendere insieme sul piano divino e sul piano umano. La seconda azione non essendo che il riflesso e, per così dire, il contraccolpo storico dell'altra: l'azione celeste che, all'origine di tutto, non mette in gioco che delle forze pure.  



“I Persiani pretendono che Ibrahim, cioè Abraham, fosse il loro fondatore, così come gli Ebrei. Così vediamo che secondo tutta la storia antica i Persiani, gli Ebrei e gli Arabi sono discendenti di Abramo. (p. 85)… dicono che Terah, il padre di Abramo, fosse venuto in origine da un paese dell’Est chiamato Ur, dei Caldei o dei Culdei, per abitare in una regione denominata Mesopotamia. Qualche tempo dopo che abitava là, Abraham, o Abramo, o Brahma e sua moglie Sara o Sarai, o Sara–iswati, lasciarono la famiglia del loro padre ed entrarono in Canaan. L’identificazione d’Abramo e di Sara con Brahma e Saraiswati in primo luogo è stata precisata dai missionari Gesuiti”

È un fatto interessante che i nomi d’Isacco e d’Ismaele derivino dal Sanscrito: (Ebreo) Ishaak = Ishakhu (Sanscrito) = “amico di Shiva”. (Ebreo) Ishmael = Ish–Mahal (Sanscrito) = “grande Shiva”.

Una terza mini–versione della storia d’Abramo lo trasforma in un altro “Noé”.
Sappiamo che un’inondazione guidò Abramo dall’India. “… Così disse il signore Dio d’Israele, i vostri padri abitavano anticamente dall’altro lato dell’inondazione, Even Terah, il padre d’Abramo e il padre di Nachor; ed hanno servito altri dei. Ed ho preso il vostro padre Abramo dall’altro lato dell’inondazione e l’ho condotto per tutta la terra di Canaan”. (Giosuè, 24,2– 3.)






Alexandre Saint-Yves d'Alveydre, (1842-1909) legato alla massoneria impegnò l'intera esistenza nello studio delle varie religioni del mondo, scrivendone numerosi volumi.
Antoine Fabre d'Olivet (1767 - 1825) è stato uno dei maggiori esoteristi dell'era moderna. Scrittore eccelso, poeta e compositore di brani musicali.

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