la stirpe di Ram
“Appena i vascelli si mossero e giunsero nel mezzo dei cieli, il Messaggero rivelò le sue forme, la maschile e la femminile, e fu visibile a tutti gli Arconti, i figli della Tenebra, maschi e femmine. Alla vista del Messaggero, che era di bella forma, tutti gli Arconti furono eccitati di concupiscenza per lui, quelli maschili per la sua forma femminile e quelli femminili per la sua apparenza maschile. E nella loro concupiscenza cominciarono a liberare la Luce dei cinque Dei Luminosi che essi avevano divorato”
(Teodoro bar Konai – commentatore biblico VIII-IX sec.)
Pressappoco coincidente con l’inizio della condizione maggiormente critica dei tempi (Kali-yuga) prende avvio il calendario ebraico.
In
quest’epoca (circa 3700-3100 a. C.) si ha la rottura del grande ciclo di Rama.
L’avvio
del Kali-yuga segnerebbe la linea di demarcazione che separa dal traguardo
finale i deliri e le aspirazioni di tutte le Civiltà e assieme, agli albori
cupi che preannunciarono l’Età Nera, l’ultima significativa rottura semi-mitica
occorsa all’unità ancestrale che saldava l'anima alla forza spirituale, qualità presumibilmente emblematizzata dalla stirpe di Ram – Ramidi – ciclo di
Rama; capostipite, conquistatore e iniziatore dell’India, proveniente dal
centro europa (Urali/Caucaso) da cui si diramano solo successivamente le
distinzioni razziali bibliche ricordate nei caratteri ereditati dai figli di
Noé: i “Camiti”, i “Semiti”, “Ariani”.
La
figura di Ab-ram, secondo la tesi Saint-Yves, così come di
Fabre d’Olivet, riassumerebbe un intera stirpe (gli Ab-ramidi) scampata alla
repentina dissoluzione del ciclo iniziatico di Ram, che in tempi remoti delineò
i caratteri venerabili della Tradizione definita appunto come Primordiale, e che
rivela la sostanziale unità sacrale d’ogni posteriore civiltà antica.
Ciò che preme sottolineare è la Rad. RAM, che intende ogni idea di “elevazione” - significando propriamente l’alto e
il sublime - presente in Egitto attraverso i nomi delle
dinastie dei Ram-es, così come in età più tarda nella famiglia-tribù dei Ram-nenses, i tirreni che
contribuirono alla fondazione di Roma: ultima città fondata dai superstiti
della stirpe dei Ramidi. Notare come il nome dell'Urbe conservi la medesima rad. RAM – RM, presente tra l'altro nella divinità mediterranea Nemesi- Ramnusia, la quale secondo Esiodo
è figlia dell’Oceano e della Notte, pertanto, di ciò che rimane segreto, nascosto.
La Dea allegorizza la generazione occulta della Provvidenza, avvinta, secondo
Macrobio, al predicato splendente figurato dal sole.
Nemesi Ramnusia custodendo il senso dei più antichi
misteri, rappresenta il senso della misura etica che presto o tardi arriva a
rettificare ogni prevaricazione.
“…Vieni, beata, santa, agli iniziati sempre
soccorritrice:
concedi di avere una
buona capacità di riflettere…”
(Inno orfico a Nemesi –
frammento)
Dovremmo individuare nella discendenza ancestrale della
stirpe di Ram non tanto una distinzione meramente razziale, ma una specifica
qualità occulta propria dell’identità animica che ci distingue in quanto umani e
connessa alla percezione stessa di Coscienza-Conoscenza, caratterizzata dalla medesima
percezione di Chiarità-Levità interiore, connesse alla forza di Liberazione-Redenzione
dall’inganno atavico che ci vede imprigionati nella struttura dell’attuale
sotto-dimensione.
Potremmo intuire in alcuni toponimi la
sedimentazione spirituale di drammatici eventi che segnano le vicissitudini
dell’uomo “tuffato” nella corrente del divenire e perciò, ad esempio, nel nome stesso
di una regione come l’Armenia, si potrebbe individuare uno dei punti di confluenza e
diramazione dell’umanità post-diluviana o post-atlantidea. Luogo biblico di
approdo della metaforica Arca di salvezza, affatto identificata come un mezzo di navigazione solo
materiale, ma, emblema di un principio trascendente come riporta un passo dell’apocrifo di Giovanni, che asserisce: “…non fu come
disse Mosé : essi si nascosero in un arca; essi si nascosero in un luogo, non
soltanto Noè ma anche molti altri uomini della generazione non vacillante. Essi
si recarono in un luogo, si nascosero in una nube luminosa”. Qui l’autore non
parla di acqua ma di oscurità, presentando il diluvio come drammatico contrasto
fra le tenebre e la luce con cui
l’Arconte (Jaldabaoth) aveva avvolto la terra.
Le genti di Aram custodirono
il senso dell’ineffabile congiunto alla dimensione della sopravvivenza
ordinaria.
Nella genealogia di Gesù
secondo Matteo, tutto prende avvio con la discendenza di Abramo e dunque degli
Ab-ramidi, ma è anche ricordato un Aram più recente che mutua il nome
dall’antico. Così nella genealogia secondo Luca è posto in evidenza un altro
simbolico fratello del primo Aram, ossia Arphaxad, così riportato nella
versione greca neotestamentaria. Il nome ebraico antico-testamentario è
Arpha-cheshad (rad. aòr - phe e shad) che s’interpreta nel significato di “luce
che guarisce con potenza provvidenziale”; alludendo con questo al sigillo
luminoso (segno di Luce) che opera internamente alla nostra potenzialità sopita
e che Cristo, quale profeta dei tempi detti come ultimi, ha perfettamente
ridestato in sé tracciando il tragico e splendente percorso di riscatto
dall’ottenebramento subito dalla coscienza.
La lotta leggendaria adombrata
nel Ramayana, e accaduta al termine dell’età precedente alla nostra, (prima del
Kali-yuga) quando gli effetti della
degenerazione cominciarono a rendersi manifesti e venne meno alla saggezza umana quell’unico principio spirituale
da cui tutto dipende, originando da questo turbamento metafisico volto a sovvertire l’unità del ciclo di
Rama il primo significativo attacco delle forze buie alla lucentezza.
“I Persiani pretendono che Ibrahim, cioè Abraham, fosse
il loro fondatore, così come gli Ebrei. Così vediamo che secondo tutta la
storia antica i Persiani, gli Ebrei e gli Arabi sono discendenti di Abramo. (p.
85)… dicono che Terah, il padre di Abramo, fosse venuto in origine da un paese
dell’Est chiamato Ur, dei Caldei o dei Culdei, per abitare in una regione
denominata Mesopotamia. Qualche tempo dopo che abitava là, Abraham, o Abramo, o
Brahma e sua moglie Sara o Sarai, o Sara–iswati, lasciarono la famiglia del
loro padre ed entrarono in Canaan. L’identificazione d’Abramo e di Sara con
Brahma e Saraiswati in primo luogo è stata precisata dai missionari Gesuiti”
È un fatto interessante che i
nomi d’Isacco e d’Ismaele derivino dal Sanscrito: (Ebreo) Ishaak = Ishakhu
(Sanscrito) = “amico di Shiva”. (Ebreo) Ishmael = Ish–Mahal (Sanscrito) =
“grande Shiva”.
Una terza mini–versione della
storia d’Abramo lo trasforma in un altro “Noé”.
Sappiamo che un’inondazione guidò Abramo dall’India. “… Così disse il
signore Dio d’Israele, i vostri padri abitavano anticamente dall’altro lato
dell’inondazione, Even Terah, il padre d’Abramo e il padre di Nachor; ed hanno
servito altri dei. Ed ho preso il vostro padre Abramo dall’altro lato
dell’inondazione e l’ho condotto per tutta la terra di Canaan”. (Giosuè, 24,2–
3.)
Alexandre Saint-Yves
d'Alveydre, (1842-1909) legato alla massoneria impegnò l'intera esistenza nello studio
delle varie religioni del mondo, scrivendone numerosi volumi.
Antoine
Fabre d'Olivet (1767 - 1825) è stato
uno dei maggiori esoteristi dell'era moderna. Scrittore eccelso, poeta e
compositore di brani musicali.
Etichette: desunto dal testo di Silvano Panunzio "Metapolitica" ed. del Babuino, Roma 1979
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